Di Lilio Testa
Mi chiamo Lilio, ho 20 anni e studio Lettere Classiche. Dove? Non importa, un luogo vale l’altro. Ho una gran fiducia nelle istituzioni culturali. Quello che conta è il sacrificio, la costanza, la dedizione. Certe volte, nel corso di una limpida mattina, prima di iniziare a studiare questo o quell’argomento, per questo o quell’esame, al termine di una stancante giornata di lavoro, mi chiedo: “Cosa ti ha spinto fino a qui?”. Domanda complessa, da un milione di dollari, direbbero gli amanti della retorica dalle frasi fatte. Provo a rispondere, ci penso su, talvolta il quesito è talmente inafferrabile che richiederebbe una risposta troppo astratta e così lascio perdere. In ogni caso penso ad una cosa sola. Rifletto su quanto sia importante per me l’esistenza della letteratura e ancora prima della poesia. Come afferma Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere, la letteratura è una difesa contro le offese della vita. In un mondo che corre, che sembra lasciare indietro gli ultimi e dimenticare gli indimenticabili, leggere è l’unico strumento utile alla costruzione della dimensione sentimentale, così tanto galimbertiana, che sembra essere offuscata dalla fumante e tecnologica società odierna. Calarsi nella lettura è qualcosa di straordinario. Poter far parte delle grandi imprese iliadiche ed odissiache, sospirare leggendo le poesie di Orazio e di Ovidio, immergersi completamente negli esametri di Virgilio, stupendosi al racconto della mitica fondazione di Roma, e in quelli di Apollonio Rodio, guardando da vicino il rapporto amoroso, a tratti antropologico, di Giasone e Medea. Sentirsi più compresi sfogliando una raccolta delle opere di Leopardi, sentirsi meno soli apprezzando a pieno la lirica petrarchesca, sentirsi più umani percorrendo insieme a Dante un viaggio ultraterreno, tra sogno e realtà, tra verità e illusione, tra luce e ombra. Capire cos’è l’amore attraverso i preziosi insegnamenti impartiti dai coltissimi poeti provenzali e stilnovisti, facendo una sosta anche, perché no, presso Saffo, grande poetessa greca. Afferrare il concetto di invettiva e di satira ad personam (ὀνομαστὶ κωμῳδεῖν) leggendo i giambi di Archiloco e Ipponatte, tanto pungente da portare addirittura al suicidio, e gli epigrammi di Marziale, non dimenticando le grandi costruzioni fantastiche del teatro di Aristofane, dagli acutissimi contorni politici; autori che ci illuminano riguardo al bigottismo borghese e alla contraddizione socio-culturale della civiltà greca. Stare in silenzio, meditare, leggendo le vite di donne e uomini spezzati dall’infido fato, entità che aleggia intorno all’uomo greco ( e latino) sin dai tempi più antichi; dalla tracotanza, vedi il Prometeo eschileo; dall’amore, come accade in Amore di Cinisca ( e non solo), uno dei mimi più caratteristici di Teocrito, oppure da un tremendo regime tirannico, come quello neroniano ( che tanto ricorda governi odierni), che, dopo la famosa congiura dei Pisoni ( 65 d.c), farà strage di intellettuali e menti illuminate. Diventare per un attimo un uomo medievale, imbracciare scudo e spada, indossare l’elmo al risuonar dei fatidici versi: “ Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto”; lasciarsi meravigliare dai tormenti, tanto feroci e ancestrali di Orlando (che sembrano ricordare quelli dei più tragici personaggi del mito greco), dal viaggio di Astolfo sulla luna, al fine di recuperare il senno del protagonista, e dalla tremenda battaglia che oppose (ma anche avvicinò sotto un certo punto di vista) cristiani e “infedeli” nella Gerusalemme Liberata di Tasso. Essere seduti su di una panchina, presso gli Stagni del Patriarca, in compagnia di due grandi intellettuali, nella Mosca del più gelido comunismo russo, disturbati da un tremendo terzo incomodo (lo sa il diavolo chi mai possa essere!) che si rivelerà fatale, forse fin troppo, per l’intreccio della trama. O meglio, al fianco di un grande luminare della scienza, scrutare il curioso iter psico-somatico di un cane che, a seguito di una insolita e assai pericolosa operazione, si trasforma nella peggior specie di uomo, combinando guai a destra e a manca. Potrei continuare all’infinito. Non voglio annoiarvi troppo, cari lettori. Questo è quello che penso. Credo fortemente nel potere salvifico della letteratura. Credo con convinzione nel gran valore culturale e identitario del libro il cui più ambito destino dovrebbe essere, a detta del gran poeta e saggista russo Brodskij, quello di essere passato di mano in mano, senza mai fermarsi, fino al consumarsi, fino allo scomparire.
Il libro semina in ogni uomo che lo brama e se ne impossessa i semi più audaci, più fruttiferi, se coltivati con cura e attenzione. Potremmo, se si seguono le regole di questa stramba botanica, veder nascere nelle nostre menti i fiori della sensibilità, i fiumi della passione, le rocce dell’apprensione e gli alberi della vita. Forse mi direte pazzo o semplicemente non mi crederete ma fidatevi di me: sedete comodamente, accendete un’indispensabile lucina (onde evitare inutili sprechi), afferrate un libro, uno qualsiasi, a vostro gusto, e godete del piacere della lettura. Fatevi cullare dalle sue onde, intraprendete la strada che porta all’unità, mettendo da parte tutto ciò che ci può allontanare da questa sorta di redenzione intellettuale. Allora vi accorgerete di osservare il mondo attraverso il filtro della letteratura, nobilissimo filtro, e di scorgere un panorama quanto mai ricco: il panorama dell’umanità. Così sarà facile per voi ubriacarvi senza tregua di poesia e di virtù, per dirla alla maniera di Baudelaire. Se questo non vi aggrada, beh, non so che farci. Per carità signori miei, non sentitevi obbligati. Da chi poi? Da un insolente e presuntuoso ragazzetto? No, meglio di no. Io ho giocato le mie carte. Il mio turno è finito. Ora tocca a voi.