Di Nicoletta Martone
La colonia reale (rectiusla Real Colonia di San Leucio) di San Leucio, in origine Ferdinandopoli, fu istituita nel 1776, con un nucleo di 214 abitanti. La Real Colonia di San Leucio sorgeva sulla omonima collina acquistata nel 1750 da Carlo di Borbone, poi III di Spagna ed era principalmente adibita alla lavorazione della seta.
La colonia, inoltre,veniva utilizzata per lo svolgimento dell’arte venatoria da parte del sovrano reggente ed era dotata di autonomia economica: vi si trovavano una seteria, una fabbrica di tessuti, strutture educative e sanitarie.
Ciò che balza all’occhio è l’esistenza, in questa microscopica colonia, di un complesso di norme regolatrici della vita di comunità (e non solo) contenute in una legge: il Codice Leuciano.
Lo Statuto, anche detto Codice leuciano, entrò in vigore il 20 Novembre 1789 a San Leucio,per volere del sovrano Ferdinando IV di Borbone, fu redatto da Antonio Planelli e fu edito dalla Stamperia Reale del Regno di Napoli.
Inizialmente fu diffuso in 150 copie.
Con esso si sperimentò “il primo esempio di repubblica socialista della storia moderna e di realistica attuazione di quella tipica utopia idealistico–razionalista dell’epoca: l’istituzione di una Colonia ad opera del re delle Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, in quello stesso Regno dove era fiorito l’Illuminismo del ‘700, grande fucina del pensiero politico meridionale”[1].
Il corpus normativo si componeva di cinque capitoli e ventidue paragrafi, rispecchiava le aspirazioni del dispotismo illuminato e poneva grande attenzione al ruolo della donna,al punto da sancirne l’uguaglianza con gli uomini, per la prima volta nella cultura occidentale.
L’archetipo di“perfezione morale”voluto dal sovrano per la colonia leuciana mirava, attingendo all’universo culturale degli illuministi, ad assicurare alla Real Colonia la felicità, tutelandola dasommosse e dai turbamenti della vita quotidiana.
Lo Statuto stabiliva l’assoluta parità tra i figli, tra l’uomo e la donna nel diritto di successione, al quale comunque era riconosciuto il ruolo di capo famiglia. L’assoluta parità tra i coloni era derivante dalla «sola giustizia naturale», di matrice chiaramente groziana.
Ad onore del vero nel Regno delle due Sicilie l’esclusione della donna dalla successione paterna era motivata dal diritto alla dote che, suo malgrado, restava nelle mani del coniuge.
Gli studiosi della fervida epoca rivoluzionaria ne esaltavano l’abolizione di testamenti, fedecommessi e maggiorascati, in nome della «naturale equità e giustizia» edell’uguaglianza tra consanguinei.
Il diritto naturale assegnava all’uomo vari doveri: in primis amare e proteggere la donna che, per converso, doveva al marito «la giusta deferenza e la teneraamicizia».
La più evidente straordinaria modernità dell’opera legale stava, però, nell’obbligazione gravante sul marito “agli alimenti, e alle fatiche più penose della vita”.
Specularmente era auspicato che la moglie avesse dedicato al proprio coniuge “cura sollecita per cimentare da più in più la cara unione”.
Se da una partequindi, in aderenza a tutte le frammentarie codificazioni vigenti, si estromettevano dall’eredità paterna le figlie dall’altra però, il codice leuciano riconsiderava eredi le donne in assenza di figli maschi.
La moglie del defunto capo famiglia, finché vedova, succedeva al marito nel diritto di usufrutto nell’universalità dei beni (n.d.r. tale norma è stata superata in Italia soltanto nel 1975 con la Riforma del Diritto di famiglia).
Le leggi leuciane, inoltre, con riferimento al matrimonio conferivano ai coloni, previo attestato di merito, la libertà di decidere di sposarsi, a partire dall’età di 20 anni per gli uomini e di 16 per le donne, anche senza il consenso delle famiglie di origine. I giovani potevano sposarsi per libera scelta, senza dover chiedere il permesso ai genitori. Le mogli non erano tenute a portare la dote, a questo provvedeva lo Stato, che s’impegnava a fornire la casa arredata e quello che poteva servire agli sposi.
La colonia era regolamentata anche dal punto di vista pubblicistico: i capifamiglia eleggevano il consiglio degli anziani, i Seniori (magistrati e detentori della giustizia colonica)e venne istituita una Cassa di Carità per il sostentamentodegli invalidi, degli anziani e dei non abili al lavoro.
Lo stupefacente sistema di welfare consisteva nel rudimentale paradigma contrattuale di credito al consumo (si prestavano somme a chi ne avesse bisogno senza alcun interesse nella restituzione), nell’erogazione di pensioni, alla cui creazione partecipava la comunità mediante la riscossione di una tassa mensile sulla paga corrispondente a 80 centesimi di Lira Aurea.
Il vero atto rivoluzionario è che lo Statutoindicava nell’amore, nella benevolenza e nella premura gli unici capisaldi del governo reale.
Ancorché pioneristico ed avanguardista, il progetto leuciano – ahimè- non fu mai pienamente realizzato, fu travoltodalla nascita della Repubblica Partenopea nel 1799 e la sua ufficiale dipartita avvenne con l’unità d’Italia.
Resta però da ricordare che il corpo legislativo leuciano rappresenta il primo esempio di un sistema di buone leggidiretto all’educazione di una comunità che pensa e lavoracollettivamente al bene comune.
Sebbene l’opera legislativa di San Leucio resta nella storia per essere un’utopia,vale sempre la pena di rileggere le parole che lo concludono “Questa è la legge, ch’Io vi dò per la buona condotta di vostra vita. Osservatela, e sarete felici.”
[1] Paolo Franzese – Le leggi per il buon governo della popolazione di San Leucio fra utopia, storia e mito.