Memorie bulgare

Erano gli inizi di luglio quando due amici ed io siamo partiti alla volta di Sofia. Ne avevamo sentito parlare abbastanza bene da alcuni conoscenti e così, dopo aver raccolto maggiori informazioni via internet, prenotammo il volo. La decisione fu presa in pochi giorni, non avendo, in fondo, troppe pretese e grandi progetti ma trovammo ugualmente un piacevole accordo comune. Arrivati a Napoli-Capodichino, aspettammo un po’ prima di imbarcarci a causa, molto probabilmente, del troppo anticipo. Comunque, trovammo uno spazietto e ci accomodammo tranquilli. Un’ora e poco più di viaggio per arrivare all’aeroporto di Sofia, a cui si aggiunse un’altra ora a causa del cambio di fuso orario. Fui colpito dalla presenza, quasi a sbarrare l’ingresso della zona propriamente Aeroportuale, di una fila di cabine doganali risalenti all’epoca in cui la Bulgaria faceva ancora parte dell’URSS. Ricordo non troppo lontano e nemmeno, forse, troppo felice. Nella sua struttura originaria il complesso si dimostrò essenziale, quasi ermetico come molte strutture brutaliste che circondano la periferia della capitale bulgara. Palazzoni fatiscenti, squadrati, alcuni poco curati che onestamente non mi trasmisero tanta allegria. Incontrammo quasi casualmente un uomo ben piazzato che, in un italiano esteuropeo, ci chiese se fossimo in cerca di un taxi e così noi ci siamo lasciati convincere, intuendo la bontà di intenti dell’uomo. Sul punto di salire sul taxi, l’omone salutò un suo amico, un certo “Topolino”, un piccoletto spiritoso che fece un cenno anche a noi. Ripensandoci erano una bella coppia, un bell’ossimoro. La zona che circonda l’Aeroporto non ci fece una bella impressione anche perché abitata dai gitani (appartenenti all’enorme famiglia dei Rom), un popolo di origine antichissima che non è proprio ben visto dalla comunità bulgara. In realtà, senza essere inutilmente prolissi, i Rom in Bulgaria non costituiscono un ceppo unito per cultura e stile di vita. Interessantissimo però è il fatto che questa “subcultura” abbia ispirato eccellenti pittori locali nella raffigurazione, quasi mistica ed estatica, di danze di giovani gitane e feste dal sapore rituale nel cuore della notte.

Dopo aver fatto una piccola sosta al cambio valuta e dopo essere arrivati nei paraggi del b&b, iniziammo a guardarci intorno con molta curiosità. La maggior parte delle attrazioni e musei doveva esser visto nel breve periodo della nostra permanenza (un lungo fine settimana) e infatti con un sommario ma ben compatto itinerario turistico alla mano ci addentrammo nella rete dei servizi che Sofia poteva offrirci. Spostandoci con comodità grazie all’ausilio di una carta trasporti, effettuammo molte piacevoli scoperte. Dalla cattedrale di Aleksandr Nevskij, dalle antiche e, per questo, ingannatrici sembianze dal momento in cui la prima pietra fu posata solo nel vicino 1882, alla Galleria Nazionale d’Arte, ricchissima di pregevoli opere pittoriche.

Particolarmente curiosa fu la visita ad una casa-museo di una famiglia piccolo-borghese locale ai tempi del regime sovietico. L’abitazione è rimasta quella e ,infatti ,ci parve per più di un momento di respirare quel clima, di rivedere la famiglia seduta insieme nell’ottocentesco salotto, la piccola cucina fumante e il cane steso di fianco sul tappeto. Che bella visione, pensai. Ma sicuramente non doveva essere così felice in quegli anni gelidi e nebbiosi, in cui, per dirla alla maniera del poeta russo Brodskij, “tutti adorano la bandiera falce e martello, uniti in un abbraccio./ Ma il chiodo non è piantato e il campo non è mietuto./ Il grande piano, a dirla volgarmente, è fottuto.”. Parole, queste, di chi è stato travolto in pieno dallo tsunami tirannico dell’Unione, vivendo per lungo tempo perseguitato ed esiliato.

Di sabato invece, al tramontare della nostra esperienza turistica, visitammo il Museo Nazionale di storia, situato in una parte decentrata della Città e ,di fatti ,ci spostammo utilizzando un bus e il filobus (mezzo molto comodo, dagli orari precisi e rispettati e addirittura ristrutturato nel suo aspetto d’epoca, chiaramente con qualche piccola variazione in chiave contemporanea). La struttura architettonica è enorme, sviluppata non tanto in altezza quanto in larghezza. E infatti, appena entrati, fummo impressionati da una sconfinata sala, dalle pareti e dal soffitto listellati in legno intarsiato, che ospitava soprattutto materiali storici di epoca cristiana. Il museo, ovviamente in base ai piani e alle aree, accoglie reperti di ogni genere dalla Guerra di origine greco-macedone a quelli risalenti alle battaglie della cruenta Guerra russo-turca e oltre. Molto curiosa è una stanza destinata ad accogliere abiti e vesti tipici del folklore popolare bulgaro. Per la sua grandezza il complesso doveva essere visitato con calma e attenzione, come del resto tutti gli altri luoghi caratteristici, ma il tempo stringeva perché dovevamo entrare in un altro museo, il Kvadrat 500. Ubicato praticamente nel centro urbano di Sofia, il bellissimo edificio accoglie varie raccolte di quadri e sculture :arte giapponese, indiana, africana, pittori francesi, impressionisti ed espressionisti bulgari e tanto altro. Fu davvero apprezzatissimo da me e i miei due amici che per un pelo non ci perdevamo in quel maestoso labirinto artistico.

 

Domenica sfruttammo quelle poche ore rimaste per passeggiare per le strade principali e non, dopo aver in maniera non troppo sbrigativa sistemato i bagagli. Prima di andare via fummo incuriositi dal Museo dell’Arte Socialista, nel quale sono ben visibili i propagandistici resti del grande movimento culturale e soprattutto politico che investì pienamente il Paese. Le tele, le sculture e il vasellame conservati hanno come unico leitmotiv l’esaltazione dell’etica del lavoro. Lavoro operaio, manuale e usurante. Il tutto era circondato da un giardino nel quale sono state installate vecchie statue di eroi comunisti e famosi dittatori sovietici (circa una cinquantina).

Durante il viaggio avemmo modo anche di assaggiare piatti tipici della tradizione esteuropea come il gulasch, i pierogi (ravioli ripieni) e il bigo (stufato di carne e verdure). Lo stile culinario adottato per realizzare questi piatti mi hanno ricordato, in parte, la cucina greca (entrambe influenzate dalla tradizione gastronomica turca-ottomana) per l’abbondanza di insaccati, formaggi, spezie molto saporite e salse di ogni genere. Nel complesso fu  un’ottima esperienza. Constatammo di persona che Sofia è una capitale ancora in costruzione, come se fosse un grande cantiere edilizio in continuo lavoro. Sono palpabili i segni dei passati eventi storico-sociali che hanno lasciato ferite indelebili non solo nel Paese ma nell’intera Europa orientale. Difatti il cuore pulsante della capitale è costellato di attività e boutiques che propongono anche famigerati marchi dell’alta moda; mentre man mano che si percorrono le secondarie e periferiche arterie di comunicazione è possibile notare un alternarsi di vicoli bui e poco invitanti e di vie ricostruite letteralmente per intero. Presumo che ci sia e ci sarà ancora tanto da fare per conferire allo Stato bulgaro l’aspetto onorevole che merita.

Di Lilio Testa,

Corrispondente da Caserta.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *