Modifiche Legislative e Fattibilità Della Messa Alla Prova

Di Mario Covelli.

Una parte minoritaria della magistratura minorile, preso atto del divieto introdotto dal c.d. decreto Caivano (d.l. 15 settembre 2023 n. 123, convertito con modificazioni nella Legge 13 novembre 2023, n. 159) di ammissione al percorso di messa alla prova in caso di violenza sessuale aggravata (ad esempio se commessa in danno di soggetto minorenne), non ritiene di ammettere l’imputato al percorso rieducativo, anche se la violazione sia stata commessa in tempo anteriore all’entrata in vigore del citato provvedimento.
L’interpretazione è fondata sulla differente disciplina tra le norme sostanziali e quelle processuali.
Per quanto riguarda le norme sostanziali l’art. 25 della Costituzione e l’art. 2 del c.p. fanno riferimento, in caso di successione di leggi, al diritto dell’imputato al trattamento più favorevole.
Per quanto riguarda invece le norme processuali l’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, che precedono il codice civile, stabilisce la regola del tempus regit actum, per cui non si applicherebbe il criterio della legge più favorevole.
Detta interpretazione giurisprudenziale non è assolutamente condivisibile, in quanto occorre distinguere tra norme processuali di mera organizzazione, per le quali vige il principio citato, dalle norme processuali che, apparentemente tali, in realtà vengono a incidere sui diritti della persona, per cui sono in realtà sostanziali e alle stesse va applicato l’art. 2 c.p.
Fondamentale è la sentenza della Corte Costituzionale dell’1/2/1982 n. 15 la quale afferma che “il bene tutelato, cioè la libertà personale, può venire ugualmente aggredito tanto dalla legge penale sostanziale quanto da quella procedurale … l’attività giurisdizionale, valutata nel concreto, ha fondamentalmente funzione di garanzia, da cui deriva la logica conseguenza dell’assimilazione delle norme processuali penali alle norme sostanziali, quando si risolvano in danno dell’imputato”[1] .
In effetti la libertà personale può essere aggredita sia dalla legge penale sostanziale che da quella processuale; l’attività giurisdizionale ha la funzione di garanzia, dalla quale deriva la logica conseguenza dell’assimilazione delle norme processuali alle norme sostanziali, quando si risolvano in un danno per l’imputato.
Illustri giuristi hanno introdotto la categoria delle cosiddette norme processuali a rilevanza sostanziale riferita a una categoria di norme che, pur appartenendo alla normativa di carattere processuale, devono godere delle medesime garanzie delle norme sostanziali, in quanto a queste equiparabili (ex multis Conso, Riccio, Moccia, Menna, Iasevoli).
In primo luogo occorre citare la giurisprudenza della Corte di Strasburgo (sentenza 22 novembre 1995, s.w. c. Regno Unito, ric. N. 20166/92; sent. 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. N. 42750/09) la quale è intervenuta con varie decisioni di condanna della interpretazione sopra citata.
La Corte dei Diritti dell’Uomo afferma due principi:
1) non bisogna limitare la valutazione alla forma sostanziale o processuale dell’atto, ma esaminare se lo stesso incida sui diritti della persona;
2) il limite posto dalla Corte di Giustizia è il criterio della prevedibilità: l’applicazione retroattiva della norma apparentemente processuale è consentita solo nel caso in cui la conseguenza del comportamento sia ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione sia stata commessa.
Quindi occorre ritenere che vi sia una terza categoria di norme, che pur essendo apparentemente di natura processuale, in realtà incidono sul diritto di libertà e sulle situazioni soggettive, per cui non sono soggette all’art. 11 delle preleggi, ma all’art. 2 c.p.
In concreto possiamo citare il caso Contrada contro Italia: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riconobbe che l’attività di concorso esterno contestata al Contrada nel periodo dal 1979 al 1988 era temporalmente avvenuta prima ancora che la Corte di Cassazione Penale a Sezioni Unite con la sentenza Demitry (sent. 5/10/1994 n. 16) introducesse nell’ordinamento l’ipotesi criminosa di concorso esterno, e pertanto non era prevedibile da parte del Contrada.
Analogamente nella sentenza Scoppola contro Italia la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sent. 17 settembre 2009 – Ricorso n.10249/03) in materia di applicazione della legge penale stabilisce che l’art. 7, par. 1, della Convenzione non garantisce solamente il principio di non retroattività delle leggi penali più severe, ma impone anche che, nel caso in cui la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e quelle successive adottate prima della condanna definitiva siano differenti, il giudice debba applicare quella la cui disposizione è più favorevoli al reo.
Nel caso di specie costituiva altresì violazione dell’art. 6 par. 1 CEDU, relativo al diritto ad un processo equo, l’applicazione retroattiva delle nuove regole di determinazione della pena introdotte dal d.l. n. 341 del 2000 per il giudizio abbreviato, essendo stato deluso il legittimo affidamento che l’imputato aveva riposto su una riduzione di pena in sede di scelta del rito speciale [2].
Inoltre va citata la recente sentenza della Corte di Cassazione III Sez. Pen. del 27 novembre 2020 (dep. 15 gennaio 2021) n. 1731 che conferma la sentenza della Corte di Cassazione Sinito[3].
Nella stessa le Sezioni Unite, chiamate a decidere se a seguito dell’entrata in vigore della legge 67/2014, all’imputato che avesse scelto il rito abbreviato e fosse rimasto assente, andasse o meno notificato l’estratto della sentenza, optarono per l’orientamento che la notifica non era necessaria, stabilendo che il termine per l’impugnazione era di 30 giorni dal deposito della decisione.
Nel cosiddetto overruling la Corte di Cassazione praticamente ha optato per il criterio più funzionale dell’organizzazione.
La soluzione è legittima e condivisibile in quanto si trattava semplicemente di norme di organizzazione.
Nella successiva sentenza n. 1731/21 la Corte scrive: “Ove, però, l’overruling sia connotato dal carattere dell’imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante ex post non conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare. Ne consegue che – in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito – deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall’overruling‏ [4]nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo”.
Nel caso concreto i minori non avevano certo la possibilità di prevedere un mutamento delle norme processuali tale da impedire loro la possibilità di essere ammessi alla prova.
Si confida pertanto nel mutamento di orientamento della magistratura minorile.

[1] Giorgia Trinti in Diritto Penale Contemporaneo n. 9/2017

[2] Ministero della Giustizia, Sentenze CEDU

[3] Cass., Sez. Un., 24 ottobre 2019, dep. 13 gennaio 2020, n. 698

[4] L’overruling nel sistema anglosassone, nel quale i precedenti sono vincolanti, si verifica quando il giudice abbandona il sistema precedentemente adottato optando per una soluzione nuova

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